Quando un neonato viene alla luce, insieme a lui nascono anche una serie di condizioni fisiologiche che pongono fin da subito le basi per il suo fantastico sviluppo futuro. Tra queste, rientrano i riflessi neonatali, ovvero quelle reazioni innate osservate già durante la prima visita pediatrica e che rispecchiano le sue competenze.

 

I riflessi controllano tutte le funzioni che regolano il nostro corpo: intervengono nelle situazioni pericolose, pongono le fondamenta per la crescita del sistema nervoso e per il controllo della testa, del tono muscolare, dei sensi, in tutte le sue tappe evolutive. Il piccolo non li apprende dal genitore, ma li possiede già innatamente. Quali sono e soprattutto, quali si controllano dopo il parto?

 

L’indispensabile è certamente il riflesso di suzione: una volta sfiorata la guancia del neonato, lui va in cerca del seno pronto per la suzione e la deglutizione. È il riflesso della sopravvivenza. Fin da subito è in grado di ruotare la testa, dirigersi autonomamente verso il capezzolo e aprire la bocca. Questo riflesso è molto precoce: già in utero, il feto è capace di succhiarsi il dito ed apprendere la suzione spontaneamente.

 

Il riflesso di Moro è la reazione di “spavento” e di risposta a stimoli improvvisi: il bambino reagisce di scatto, stendendo il dorso, aprendo le braccia e le mani, chiudendo il pugno e piegando le gambe. Si tratta di una condizione che tende a scomparire intorno ai 3-4 mesi di vita.

 

Lo stimolo della pianta del piede o riflesso di Babinski, invece, rimane fino all’anno di vita e si osserva accarezzando la pianta, con conseguente distensione delle dita e innalzamento dell’alluce.

 

Esiste il riflesso di Galant, l’incurvamento del tronco della schiena successivamente al tocco della colonna vertebrale; il riflesso di prensione della mano, in cui il neonato, una volta sfiorato il palmo, afferra ciò con cui è in contatto. Anche quest’ultimo è molto precoce, ed è possibile osservarlo ecograficamente nella pancia della mamma.

 

E ancora, il riflesso tonico del collo che porta il neonato a distendere il braccio e la gamba dallo stesso lato in cui gli è stata roteata la testa oppure la famosa “marcia automatica”, dove, sospeso in posizione eretta, accenna piccoli passi.

 

A che cosa servono tutti questi? È l’aiuto che hanno per approcciarsi al nuovo mondo, per prenderci confidenza e soprattutto, per adattarsi il più naturalmente possibile. È l’aiuto che danno anche a noi, per comprendere il loro stato funzionale, il loro benessere e le grandissime capacità di crescita future. 

 

Il terrore delle donne legato alle lacerazioni da parto durante l’evento della nascita, non è legato solamente alla possibilità d’insorgenza di una lesione spontanea, bensì all’eventualità che sia necessario praticare un’episiotomia. Di cosa si tratta?

 

È un’incisione chirurgica che viene praticata sul perineo al fine di facilitare l’apertura vaginale per consentire miglior passaggio del feto nella fase espulsiva del parto. Negli ultimi decenni, la metodica è stata sempre più utilizzata durante i parti vaginali da parte dei ginecologi e delle ostetriche, ma spesso, inappropriatamente.

 

Si era radicata l’idea che potesse essere utile nella prevenzione delle lacerazioni spontanee, nella distocia di spalle, nell’accelerare il parto, nelle complicanze da prolasso post-partum o addirittura proteggere nella ripresa dei rapporti sessuali dopo la nascita. Non è così.

 

Qual è l’indicazione per eseguirla? La sofferenza fetale. l’unica ragione è quindi che il feto, negli ultimi momenti prima della completa espulsione, abbia difficoltà a venire alla luca e la sua frequenza cardiaca cali bruscamente: deve quindi nascere e potrebbe essere ragionevole aiutarlo in un momento così delicato.

 

L’episiotomia viene vissuta dalle donne come una vera e propria violenza ostetrica: per praticarla servirebbe il consenso informato e spesso manca. Si tagliano pelle, muscoli, aree della zona più intima e delicata di una donna e lo si fa in completo silenzio. Lascia una cicatrice fisica e psicologica negli anni successivi: durante i rapporti, nella normale attività quotidiana, disagio psichico, ricordo estremamente negativo di un evento speciale come la nascita.

 

L'assistenza al parto deve sempre essere fornita nel rispetto dei diritti e della dignità umana e non come una violazione dei diritti della donna o forma di violenza di genere. Pensiamo prima di agire. Chiediamoci se è una pratica opportuna. Informiamo e consideriamo la donna come un essere speciale, protagonista della sua intimità e della sua più grande conquista: la nascita di un figlio.

 

Il tocco è uno dei sensi più fini e delicati che possediamo: non consente solo di percepire materialmente, ma di entrare emotivamente in contatto con ciò che accogliamo tra le mani. Durante la gravidanza spesso ci si sente dire “Non toccare troppo la pancia che è pericoloso e scatena le contrazioni”, ma c’è una netta differenza tra il tocco inteso come tatto e la palpazione.

 

 

La pancia di una futura mamma è un evento unico: un nuovo approccio alla fisicità, una sensazione di trasporto in grembo, un’emozione di accettazione, ma soprattutto, un’interazione diretta con il proprio bambino. Accarezzare il ventre stimola i recettori sensoriali del corpo materno che andranno a comunicare con il piccolo: accarezzare è sinonimo di dialogare. Tali elementi inducono cambiamenti ghiandolari, muscolari e mentali: i sentimenti.

 

Porre una mano sulla pancia, sfiorarla delicatamente, effettuare dolci coccole rafforza la relazione madre-bambino che si consoliderà dopo la nascita. In utero il piccolo è già in grado di poter discriminare il tatto della mano della mamma e di riconoscerne la sensibilità. È una forma di protezione materna, per “contenere” tra le braccia il suo bambino. È una forma di presenza, come per dire “io sono qui”. È una forma di affetto, una coccola d’amore. Ogni tocco ha un suo perché: curativo, protettivo, affettivo, intimo e ognuno di essi, ha una risposta differente.

 

Sfatiamo quindi il falso mito della pancia: ovviamente in prossimità del parto, stimolare esageratamente il ventre potrebbe indurre la contrazione uterina, ma nulla di tutto ciò ha a che vedere con l’intento della sua forma relazionale.

 

Godetevi a pieno una delle vostre parti più belle: il grembo racchiudente la sorpresa d’amore più grande.

Lo sforzo che compie il neonato durante l’evento del parto è immane. Si considera sempre la fatica e l’impegno della neomamma che trascorre il travaglio ed il parto, ma dobbiamo anche tenere conto del piccolino: passa da un ambiente acquatico, ad uno pieno di ossigeno; dal buio, alla luce; dal caldo uterino, ad un habitat fresco; il tono dei suoi muscoli risentirà del peso della gravità, ma più di tutti, si ritroverà a respirare autonomamente.

 

L’adattamento del neonato è il suo primitivo benvenuto nel nuovo mondo ed è fondamentale nei primi minuti dopo la fase espulsiva, poter valutare come è avvenuto. Questo lo si fa attribuendo l’indice di Apgar, un valido indicatore dello stato di salute del neonato e della sua capacità di assestarsi nella vita extrauterina.

È eseguito attraverso due controlli: a 1 minuto dalla nascita che indica come il bambino ha tollerato il processo della nascita e uno a 5 minuti che rileva il suo adattamento iniziale. Sono 5 i parametri presi in considerazione: colorito cutaneo, respirazione, tonicità muscolare, frequenza cardiaca e reattività agli stimoli esterni ed il totale delle singole misurazioni è il dato cardine. Tra 7-10 i valori rientrano nella norma, tra 4-6 è opportuno vigilare il piccolo e se necessario intervenire con adeguata assistenza, < 4, il neonato necessita di cure intensive.

 

Normalmente si assiste ad un incremento del punteggio valutato tra il primo ed il secondo controllo, tipica rappresentazione di una regolare evoluzione alla nuova vita, ma dobbiamo ricordare che ciò che viene esaminato non è predittivo del suo stato di salute generale a lungo termine; per questo sono necessari i controlli pediatrici dei primi giorni post-nascita.

 

Diamo il tempo al nostro bambino di adattarsi: non spaventiamoci se non lo sentiamo piangere immediatamente, se richiede maggiori istanti prima di interagire. Ognuno ha i propri tempi e rispettandoli senza timore, cerchiamo di accompagnarlo nel nuovo viaggio della vita.

“Il mondo è bello perché è vario” e già alla nascita, si possono osservare nei piccoli, caratteristiche tipiche che li contraddistinguono dagli altri neonati. La personalità di un bambino si costruisce a seconda del modo innato con cui reagisce alle stimolazioni esterne ed è l’immagine con cui viene riconosciuto. Essa però non ha nulla a che vedere con il temperamento, la sua base biologica ed ereditaria, ovvero il modo in cui spontaneamente si comporta con il mondo, che lo porta a reagire emotivamente, interpretare l’ambiente, le situazioni e che lo accompagnerà per tutta la vita, senza mutare.

 

Il temperamento si può apprezzare già in utero: “Ha già un bel caratterino...Non si fa mai vedere all’ecografia…Dorme sempre ed è pigro”. Difatti, oltre alla genetica, incidono tantissimo il periodo prenatale e i fattori della gravidanza. Non è corretto parlare ancora di carattere neonatale, che è l’insieme del temperamento e della personalità appresa nel corso degli anni, però è possibile riconoscere una personalità tipica.

 

Studiare i neonati non è così semplice, ma sono stati individuati alcuni ambiti che possono influenzare la loro natura: l’attività, la ritmicità nella nutrizione e nel sonno, l’adattabilità all’ambiente, la sensibilità agli stimoli, l’umore e l’espressione, l’intensità e l’energia delle reazioni, la distraibilità, l’attenzione e la capacità di mantenerla difronte ad una situazione ed infine, l’approccio, ovvero la risposta alle novità. Questo ha permesso di definire tre tipologie di bambini:

  • Temperamento facile: con ritmi regolari e positività agli stimoli nuovi
  • Temperamento difficile: dai ritmi irregolari che resistono ai cambiamenti e hanno un'inclinazione alle emozioni negative ed infine
  • Temperamento lento: coloro che nonostante una certa regolarità, si adattano lentamente ai cambiamenti.

È evidente che accanto alla componente ereditaria, l’ambiente gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo del temperamento: da una parte l’ambiente fisico, dall’altra, quello relazionale ed emozionale.

 

Ciò che possiamo fare come genitori quindi è partecipare nell’ arricchire l’essenza del nostro neonato: rispettare la sua sensibilità e soggettività di interpretazione, adattandone le modalità di accudimento e lo stile educativo del nuovo mondo.